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Amministratore uscente: non sempre c’è diritto al compenso

Per la Cassazione, il passaggio di consegne e le relative attività dell’amministratore uscente rientrano nell’ordine delle cose. Per cui se risulta la volontà contraria dei condomini alla permanenza dei poteri in capo all’amministratore uscente, questi non avrà diritto al compenso

di Marina Crisafi – Non sempre l’amministratore di condominio uscente ha diritto al compenso. Se infatti la volontà dei condomini risulti contraria al permanere dei poteri in capo all’amministratore congedato lo stesso non avrà diritto ad alcun importo. È quanto emerge da una recente ordinanza della Cassazione (la n. 12120/2018).

La vicenda

Nella vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte un condominio appellava la sentenza del giudice di pace che aveva accolto la domanda di pagamento dell’ex amministratore per l’importo di oltre 1.300 euro asseritamente dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta in prorogatio. Per il condominio, il giudice avrebbe errato nel riconoscere il compenso giacché l’amministratore come documentato era cessato dall’incarico diversi mesi prima ed era stato contestualmente nominato un nuovo professionista.
L’amministratore non ci stava e proponeva appello sostenendo che la nomina del suo sostituto sarebbe avvenuta successivamente e per diversi mesi si era protratta la propria amministrazione condominiale. Il giudice d’appello, però, ritenendo chiara la volontà dei condomini di porre fine al rapporto professionale già dalla data di cessazione dell’incarico, accoglieva le ragioni del condominio e revocava il decreto ingiuntivo condannando il professionista a restituire tutte le somme ricevute.
L’amministratore adiva, quindi, il Palazzaccio, adducendo la piena operatività dell’istituto della prorogatio fino al subentro del sostituto, come da delibera che lo aveva autorizzato a compiere le attività di gestione e amministrazione dovute sino al passaggio di consegne.

Niente perpetuatio di poteri, niente compenso

Per i giudici di piazza Cavour però il motivo è infondato. Il giudice d’appello, nell’escludere una perpetuatio di poteri in capo all’amministratore uscente, scrivono nel provvedimento, “si è uniformato, alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, la quale ha avuto modo di precisare che la perpetuatio di poteri in capo all’amministratore uscente, dopo la cessazione della carica per scadenza del termine di cui all’art. 1129 c.c. o per dimissioni, fondandosi su una presunzione di conformità di una siffatta perpetuatio all’interesse ed alla volontà dei condomini, non trova applicazione quando risulti, viceversa, (come nel caso in esame) una volontà di questi ultimi, espressa con delibera dell’assemblea condominiale, contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell’amministratore, cessato dall’incarico”. Nel caso di specie, infatti, osta al riconoscimento in favore dell’uscente della somma riportata nel decreto ingiuntivo, la delibera all’unanimità della nomina del nuovo amministratore con contestuale autorizzazione al professionista uscente a prelevare dal conto corrente del condominio la somma di circa 461 euro a saldo delle sue competenze. Tale verbale dunque conclude la Cassazione rigettando il ricorso “contiene manifesta ed inequivoca volontà dei condomini tutti di porre fine – fin dalla data di cessazione originaria – al rapporto professionale in essere e di iniziare analogo rapporto con diverso soggetto”. Per cui, appare irrilevante che, come sostenuto dal ricorrente, l’assemblea lo avesse autorizzato a compiere le attività di gestione e amministrazione dovute sino al passaggio di consegne. Anche perché “è nell’ordine delle cose che l’amministratore uscente predisponga tutto il necessario per favorire il subingresso del nuovo amministratore”.

Vai all’ordinanza 12120/2018 della Cassazione